Foto: Mara Predicatori
Le installazioni realizzate all’interno del progetto l’Impronta dell’acqua sono state collocate da Roberto Ghezzi in cinque differenti siti rappresentativi dei più importanti habitat del Parco Regionale del Lago Trasimeno, localizzati a Castiglione del Lago e sull’isola Polvese:
- L’ambiente terrestre della lecceta, habitat pregiato per le specie faunistiche che vivono libere e che non sono state addomesticate dall’uomo
- l’ambiente antropizzato, paesaggio artificiale in cui gli equilibri naturali sono stati adattati, trasformati, alterati dall’azione dell’uomo
- l’ambiente acquatico, fragile habitat dove flora e fauna condividono alimentazione, riproduzione e sviluppo
Isola Polvese / Piattaforma in acqua
Castiglione del Lago / Foce torrente Paganico
A ottobre Roberto Ghezzi ha recuperato le tele da lui collocate due mesi prima e rimaste per tutto il tempo a diretto contatto con l’ambiente naturale.
Le tele e l’impronta che su di esse la natura ha lasciato in questi mesi sono state esaminate da Arpa Umbria per poi essere trasformate dall’artista in opere d’arte, le Naturografie, che abbiamo potuto ammirare in occasione della mostra diffusa che si è tenuta nella primavera del 2023 in alcuni comuni del Trasimeno.
La lecceta
L’installazione è stata collocata nell’antica lecceta di San Leonardo, l’unica area di studio su terra. Qui Roberto Ghezzi ha posizionato le sue tele tra roverelle, lecci, ligustri e pungitopi, in un ambiente boschivo fitto e chiuso in cui le condizioni climatiche, pedologiche e storiche hanno favorito il mantenimento di un nucleo centrale di bosco e di un folto sottobosco, arbustivo ed erbaceo. Lo studio è stato quindi orientato a valutare l’impronta del terreno, in un ambiente poco soggetto a disturbo antropico ma chiaramente riconosciuto come habitat prediletto dalla fauna selvatica.
L’impronta artistico-scientifica che ha restituito l’installazione di Ghezzi è dunque fortemente legata all’attività biologica del substrato, attraverso l’azione degli organismi del suolo (vermi, funghi, muffe, alghe e piccoli animali), e alle tracce del sottobosco rappresentate dalla presenza di aerodispersi (pollini, polvere, bioaerosol), ungulati e fauna selvatica.
Il porto
Il Porto dell’isola Polvese, costruito nel 1947 da Biagio Biagiotti, è il principale punto di attracco delle imbarcazioni pubbliche e private all’isola. La parte più interna ospita la darsena, coperta, mentre il vero e proprio Pontile è proteso verso il lago. Realizzato in cemento è sostenuto da pali di ferro fissati sul fondale. Tra questi nel 1996 è stato realizzato un rivestimento con travi in legno.
L’installazione è stata collocata nella parte interna del primo pontile, a stretto contatto con le travi in legno che lo rivestono e che proteggono le imbarcazioni dal moto ondoso. L’obiettivo era catturare l’impronta di un luogo fortemente antropizzato.
L’analisi naturalistica dell’opera di Roberto Ghezzi che qui ha preso forma si ritiene poteva essere fortemente influenzata dagli impatti delle barche che ormeggeranno nel porto (tracce di nafta, risospensione dei sedimenti, movimento delle onde), e restituire l’impronta biologica delle alghe, delle muffe e degli organismi tipici della degradazione organica del legno, dei pesci e degli anatidi che qui vivono e trovano riparo.
Il canneto
Quest’area di studio si trova sulla costa sud-ovest dell’isola Polvese. Il substrato è sabbioso ed è significativamente presente la cannuccia di palude. L’area si caratterizza per l’antico “Porto d’la Pioppeta” o “Moletto”, un manufatto in cemento, pietra e ciottoli, pressoché intatto che è utilizzato dai velisti e canoisti come attracco all’isola. Storicamente considerato di interesse secondario anche per le sue ridotte dimensioni, il porto si trova lungo il percorso principale poco dopo il Castello e all’inizio del lungo Viale degli Oleandri. Il porto individua un interessante biotopo rappresentato dalla “Bòzza della formella” cioè un tratto lacustre poco profondo con un fragmiteto insediato che nel secolo scorso raggiungeva una larghezza anche superiore ai 150 metri, mentre oggi si spinge verso il centro lago per circa 20 metri, più compatto sulla costa ma che si frammenta in ciuffi più o meno densi entrando nel lago.
L’installazione è stata collocata da Ghezzi all’interno del canneto, un’area di particolare valore dal punto di vista biologico e con un limitato impatto antropico. In questo luogo, l’analisi naturalistica dell’opera di Roberto Ghezzi poteva restituire l’impronta biologica di organismi macro-microscopici diversificati: alghe verdi e azzurre, pesci, avicoli, piccoli mammiferi. Il canneto, infatti, crea un’area protetta dal vento e dalle correnti, luogo ideale per la riproduzione e l’allevamento dei piccoli. Inoltre, le tele hanno verosimilmente riportato la traccia della degradazione delle idrofite natanti e radicanti tipiche dell’ambiente palustre.
La piattaforma in acqua
In quest’area l’installazione di Roberto Ghezzi è stata collocata in acqua, a circa 100 metri dalla riva, con l’obiettivo di catturare l’impressione artistica ed ecologica delle specie planctoniche ed ittiche che popolano il lago. In particolare, le tele sono state agganciate ai pali di ferro e legno che sorreggono la piattaforma installata negli anni ’60 per il monitoraggio in continuo della qualità dell’acqua (ex progetto SIGLA) e che poggia su terreni ghiaiosi e/o rocciosi. Nel 2018 su questa piattaforma è stata installata una WISPstation utilizzata per il monitoraggio in tempo reale della clorofilla e della temperatura dell’acqua, ed oggi anche uno dei pochi siti mondiali su acqua dolce per la calibrazione/validazione di sensori iperspettrali di ultima generazione.
Questa installazione ha permesso di verificare la diversa azione, sulle tele, di una struttura di ferro piuttosto che di legno; inoltre le tele non hanno subito il condizionamento del substrato, ma piuttosto quasi esclusivamente della matrice acqua.
La foce del torrente Paganico
L’installazione di Roberto Ghezzi è stata collocata nei pressi della foce del torrente Paganico, un luogo di particolare interesse naturalistico per la presenza del “bosco igrofilo” che caratterizza un habitat di specie vegetali e animali particolarmente sensibili e fragili poiché condizionati dalla presenza/assenza di acqua.
In questo luogo l’opera ha catturato l’impronta dell’attività biologica del corso d’acqua che, costantemente, si fonde alle acque ferme del lago, nonché restituisce una interessante fotografia di come si modifica l’assetto ecologico dei sedimenti: il substrato sabbioso, infatti, raccoglie una diversità biologica sensibile ai periodi di asciutta/inondazione, che condizionano anche la presenza di organismi animali e vegetali di particolare pregio.